Al Man di Nuoro da oggi

Antonio Secci, tra graffi e tagli

Il Man di Nuoro propone da oggi e fino alla fine di gennaio, un artista sardo volutamente lontano dagli ambienti mondani e accademici che contraddistinguono il mondo dell'arte. Eppure Antonio Secci, cinquantacinquenne di Dorgali, è stato uno dei giovani su cui, negli anni Sessanta e Settanta, scommettevano Roberto Crippa, Giovanni Dova e Lucio Fontana. Pubblichiamo alcuni stralci dalla presentazione di Maurizio Sciaccaluga, curatore della mostra.

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"Dopo aver passato un anno tra la Sardegna e Milano, Antonio Secci lascia definitivamente l'isola nel 1967, spinto da Gianni Dova e Guy Harloff, due artisti che ha conosciuto da poco. A Milano incontra Lucio Fontana, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale. La metropoli lombarda tra il 1960 e il 1975 sarà uno dei poli della sperimentazione contemporanea europea. Fontana e lo spazialismo sono per Secci (e lo si può intuire guardando le sue opere di allora) una folgorazione, come importantissimo è l'incontro, casuale, con Roberto Crippa, di cui diviene, a partire dallo stesso 1967 il principale collaboratore. La fiducia di Crippa incoraggia Secci e spinge galleristi e collezionisti a interessarsi della sua ricerca. Nei lavori dei primi anni Settanta l'artista, che considera i metalli come impulsi-pensiero capaci di intervenire sopra una materia concitata, ha deciso di combattere il luogo sacrale e vincolante della tela. Facendo propri alcuni assunti degli spazialisti, anche Secci vuole vincere le frontiere bidimensionali del quadro. Lo fa mettendo in risalto ­ con un segno convulso e apparentemente gestuale, ma in realtà progettato accuratamente ­ i punti di crack dell'opera e violentandone i limiti grazie alla velocità.

... Secci si dirige verso il fondo dell'opera ma, a differenza di Fontana, non è interessato a superarne limiti e confini fisici. Piuttosto cerca di produrre un buco nero, una muta deflagrazione spaziale che, spostando gli elementi del lavoro secondo orditi e propositi non ancora chiari, possa diventare un collegamento possibile con la dimensione poetica della riflessione. Le costruzioni lineari del 1973 e 1974 introducono nel lavoro quell'idea di cesura, di taglio, di interruzione che ha monopolizzato la ricerca durante gli ultimi venticinque anni. All'idealizzazione di una deflagrazione si sostituisce la descrizione di un lampo, di un bagliore lucente che squarcia una superficie monocroma, per quanto ribollente di sostanza e di vita. Nella maggior parte dei lavori, dal 1975 a oggi, gli strappi, dolorosi quali piaghe e lesioni, violentano la trama delle opere, svelando un mondo profondo e nascosto, articolato e pulsante, che altrimenti vivrebbe celato dalla coltre della superficie. Al dialogo caratteristico, in positivo/negativo, che si crea tra primo e secondo piano, entrambi definiti da colori decisi e primari, Secci aggiunge un respiro vitale e sofferto, trasformando la sostanza inerte delle opere in una pelle capace di esprimersi e urlare. Una voluta interruzione, una mancanza o un lungo strappo consentono al cromatismo del fondo di aprirsi un varco verso lo spettatore, di liberarsi per un istante della massa che lo schiaccia e allontana.

Nel 1979, per motivi strettamente familiari e anche perché deluso da un dibattito culturale che inizia a scadere qualitativamente, Secci compie un viaggio esattamente inverso a quello che, nel 1966, l'aveva portato a Milano. Torna a vivere in Sardegna, in un luogo splendido e remoto come Cala Gonone. Rallenta l'attività espositiva, difficile da seguire e favorire dall'isolamento che si è scelto, nonostante questa stesse registrando nel frattempo soddisfacenti consensi di critica e pubblico. La sua ricerca continua però incessante e convinta, anche se sono davvero poche, dopo la vorticosa attività degli anni 1970-77, le occasioni in cui accetta di mostrarla. Dal 1980 al 1998 terrà una sola personale: presso la Galleria d'Arte Moderna Saporito di Alba (1989)"".

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