Ma Giove che tonato avea più volte
Omero e questi suoi versi sono riemersi, a quarant'anni di distanza, dalla mia memoria.
Così, fanciullo, pensavo, immaginavo i fulmini del padre degli dei. Non c'erano nuvole
nella mia fantasia, ma spazi infiniti solcati da saette d'oro, di platino e
d'argento.Erano belli come può essere bello tutto ciò che si immagina o si sogna.
Sono grato dunque ad Antonio Secci di aver dato forma ad uno e mille pensieri suoi, ma che
sono anche miei e forse di mille e mille altri esseri che hanno un giorno visto, ad occhi
aperti o chiusi, con la fantasia, forme tanto belle e armoniche, dal movimento
imprevedibilmente preciso della freccia scoccata dal cielo.
Il nascere di queste opere covate nel profondo e riportate con mano sapiente sulla tela mi
appare nitido quando penso ad Antonio Secci, sardo, mediterraneo.
Certo il sedimento di generazioni è riaffiorato in lui ed attraverso lui si è rivelato
mostrando la grande scintilla che ha solcato e solca gli spazi veloce, improvvisa,
terribile. Ma nulla è rimasto più del terrore e della paura. I segni, i colori
purificati essenzializzati, si librano puri nello spazio, paiono fermi ed invece
continuano in equilibrio perfetto la loro traiettoria non prevedibile, inattesa.
Ma tutto ciò è coordinato con mano sapiente con un ritmo che s'immerge e diviene
tutt'uno nello spazio infinito. L'abilità tecnica, la scioltezza delle linee, la
pastosità dei colori, la varietà della materia che diviene ago, freccia, stella,
meteora, cometa, fulmine, folgore, strale, saetta, vengono usate per offrire tutto del
sogno spaziale dell'uomo di ogni tempo.
Orizzonti senza fine in un senso di cielo profondo, dove il sole non è più necessario
perche tutto ciò che avviene è già movimento relativo nello spazio, lontano dalle forze
gravitazionali e da tutto ciò che ci tiene sulla terra. Tutto in Antonio Secci è
armonicamente dosato. Forse è il riaffiorare di visioni arcaiche ed arcane che hanno
folgorato uomini della sua terra e che egli, pittore dei nostri tempi, ci rivela con
bravura insuperabile, in uno stato cosciente nel quale l'antichissimo inconscio si
rapprende e si condensa.
Aprile 1973
Roberto Costa