Antonio Secci

Galerie Steinbrecher, 26.6.2005

Brema

 

Caro Antonio Secci, Cara Dagmar, Caro Chris, Cari Ospiti, Cari Amici vicini e lontani. Siamo riusciti ad organizzare questa mostra grazie al verificarsi di una interessante vicenda personale. Più di un anno fa, mi trovavo con la mia famiglia in vacanza in Sardegna, faceva terribilmente freddo, era Pasqua, ed abitavamo in una casa di campagna, che non era stata riscaldata per tutto l’inverno. Non  vi era legno da acquistare, poiché la gente del posto, come ci venne raccontato, lo aveva usato per scaldarsi a causa del rigido inverno trascorso.

I bambini e mia moglie dovettero andare alla ricerca del legno nel bosco come si conviene per una vera vacanza, io non potei apportare il mio aiuto di uomo di casa, poiché dovevo lavorare ad una conferenza. Al Terzo giorno, arrivò il momento dell’esplosione: se non avessi immediatamente apportato il mio aiuto per la ricerca del legno da ardere, avrei potuto subito rimettermi in viaggio per tornare a casa. Fui allora scaltro e mi avviai per una strada che nessuno dei cercatori di legno aveva fino allora precorso; dovetti attraversare un terreno privato. Improvvisamente, vidi davanti a me una grossa montagna di tronchi d’albero e nelle vicinanze vi era ancora un uomo che lavorava ad un rifugio. Per prima cosa avrei subito portato via un cesto di legno, ma per fare questo dovevo per forza chiedere. Purtroppo non conoscevo una parola di italiano, così dovetti cercare mia moglie tra i rami e pregarla di condurre la trattativa. La domanda era questo costasse il legno e se si poteva acquistare…..l’uomo gentile che sgobbava al rifugio, disse con un sorriso impenetrabile: potete avere ciò che volete, ve lo regalo io: io sono il re della montagna!. Ora, se lui era il re della montagna che ci regalò il legno, ci dette un’accetta e dei cunei per tagliare a pezzi pi più grandi, volevamo intrattenerci a parlare insieme ancora un po’. Volevamo sapere cosa facesse lui in montagna, che tipo di lavoro lui facesse al rifugio. Egli ci mostrò, con orgoglio, una casa piccolissima, meravigliosa, quasi del tutto rinnovata, che lui aveva intenzione di affittare come foresteria; assolutamente idilliaca e per dei maniaci della solitudine e del paesaggio sembrava fatta apposta. Si, e poi lui sarebbe stato un pittore. Il suo nome sarebbe stato Antonio Secci. Questo era naturalmente un fatto sensazionale ed era tutto vero. Ci demmo appuntamento quindi il giorno dopo nel suo Atelier a Cala Gonone. Per prudenza portai con me anche il mio computer portatile, sul quale io avevo salvato alcuni dei miei quadri. E poi il suo Atelier. Una piccola stanza lunga, da parte diversi sofà allineati l’uno accanto all’altro come nella metropolitana londinese, non appena entrati ci si trovava ci si trovava davanti, da una prospettiva dal basso, una grande scrivania marrone, la scrivania di Secci. Dietro a lui molti poster di mostre e le pareti completamente tappezzate con i suoi quadri. Libuse, mia moglie, poteva conversare in modo incantevole con Antonio, io potevo solo seguire le vibrazioni. Il mio primo approccio era in qualche modo dominato dalla timidezza. Li sedeva un uomo molto simpatico, il suo viso era segnato dagli agenti atmosferici della natura sarda, il suo sorriso bellissimo, con la furbizia e l’umore che sprizzavano dai suoi occhi. Li era seduto lui, che tagliuzzava piccoli pezzi di un filo di nylon e li incollava con dei pezzettini di carta sulla superficie portante del quadro a cui lui stava lavorando. Ci aveva offerto un bicchiere di mirto, il tipico vino dolce della regione, o è più un’acquavite (Schnaps), non so. A discapito delle barriere della lingua, avevamo stabilito un contatto tale che rendeva tutto più facile e chiaro. Così accade a volte, quando non si comprende alcunché, ma nonostante tutto si comprende molto

 

Con questa descrizione dell’atmosfera del nostro primo incontro, lascio ora la parte personale delle mie argomentazioni e mi dedicherò ora alla parte serie, alla realtà. Quando si conosce un po’. Quando si conosce un po’ di un artista, quando ci si può fare un quadro, seppur ancora frammentario, del suo ambiente, spesso  è possibile guardare ai quadri in modo totalmente diverso. Gli elementi biografici ed anche dell’atmosfera sono estremamente importanti al fine di avvicinarsi al contesto dei quadri. A volte sono più importanti delle correlazioni artistico –storiche. Un artista è una persona che da qualche parte, ai margini di una evoluzione culturale, fruga e va oltre al fine di scoprire come questo margine si lascia ampliare o per lo meno forgiare. Da  un artista ci si aspetta sempre l’innovazione, la sua posizione personale, l’unicità. E quando poi si è arrivati a ciò, paradossalmente, la prima intenzione di colui che osserva è di costringerlo in uno dei qualsiasi riferimenti storico-culturali, di privarlo della sua unicità, se ve ne è solo una, e di spingerlo nel calderone dell’assicurato, del culturalmente affermato e legittimato. Ciò è di primaria importanza soprattutto per gli acquirenti di opere d’arte. Tuttavia per colui che osserva ,l’arte contemporanea rimane sempre l’impresa temeraria della propria  compenetrazione sensoriale ed intellettuale, la quale è legata in qualche maniera con ciò che egli vede, con la sua propria posizione. Da ultimo, non vi è alcun esperto che può apportare un aiuto, bisogna cercare da soli. L’esperto può indicare delle linee guida, può mettere in discussione la sua propria posizione; colui che osserva deve perciò, nella confusione delle interpretazioni contrastanti, trovare la sua propria via, quella a lui più adeguata. Per questo gli sono d’aiuto essenzialmente due aspetti: da una parte la conoscenza dell’autore stesso, dall’altra la conoscenza dell’opera. E ora sono di nuovo al punto: qui vediamo opere ruvide/scostanti, cariche di energia straordinariamente intensa la relazione con il colore, quasi fastidiosa, aspro e ispido il materiale. Difficilmente queste opere si apprezzano subito, bisogna impegnarsi e forse a questo proposito la mia visione può servire a rendere più percorribile la vostra propria strada. Tuttavia, la conoscenza con l’autore è molto più importante e sono quindi lieto che Antonio Secci si sai messo in cammino da molto lontano per arrivare fin qui; sfruttate questa occasione anche se forse potrebbe essere difficile comunicare; ma nell’Europa formata da tante patrie, vi sarà pure qualcuno che conosca anche l’italiano e possa quindi, all’occorrenza, fare da interprete. Se io voglio introdurvi a questi quadri, se io vi dirò qualcosa in merito alle mie proprie opinioni, queste cose rappresentato la possibile traccia di orientamento che voi stessi intravvederete e che vi sarà d’aiuto. In primo luogo vediamo coloro, superfici ben delineate, bordi, piani che si inarcano  e si sovrappongono, bordi ispidi, impetuosi, caratteristici; sotto: crepe, spazi. La quasi ostentata colorazione e allo stesso modo la spazialità dei quadri, ventono intensificate attraverso le cornici. Ad un primo sguardo, sembra che i quadri siano realizzati tutti seguendo la stessa regola: una base3 sulla quale si adagia un secondo piano che attraverso dei solchi si inarca in rilievo, questi due piani cozzano l’uno contro l’altro e dove un piano si inarca verso l’alto, l’altro rimane con il fondo legato e si crea quasi come un’altalena, se riuscite a seguire questo quadro. Qui, dove si giunge al punto più basso, qui vi è qualcosa simile ad un nodo, una piccola lotta dei piani che si ribellano. Ad un secondo sguardo poi si riconosce, in particolar modo osservando la struttura dei bordi  e delle superfici. Una grossa ricchezza di variazione; le superfici sono in parte strutturate in modo molto semplice, formate da piccoli elementi e poi nuovamente presentano fenditure o fibre che sottolineano, in modo più o meno folto, ovunque i bordi. E poi anche le forme. In ogni quadro ci colgono di sorpresa sempre nuove invenzioni, a volte le forme sono piuttosto statiche, calme; poi di nuovo piuttosto dinamiche, le une ammucchiate sulle altre; a volte calma, poi di nuovo tempesta. Se ore pensiamo alla veemenza formale e dei colori dei futuristi, se ci si avvicina a Secci da questo punto di vista, si può lasciarlo come un punto aperto. Certamente Antonio Secci, come ogni artista ha per sempre sulle spalle tutta la stria dell’arte e sicuramente in particolare quella della sua nazione. L’associazione al futurismo   potrebbe essere forse utile se, si pensa a quella centrale richiesta della figura di movimento e simultaneità. Quando ci si pone davanti ad quadro, è necessario di norma disporre di informazioni biografiche, di storica contemporanea, nelle quali si colloca anche la biografia e il contesto delle peculiarità culturali, che il quadro in sé non offre. Di ciò fa parte anche il rapporto con Lucio Fontana. Antonio Secci ha studiato presso di lui e gli spazi di Fontana nel quadro, i suoi “ Concetti Spaziali”, hanno esercitato sicuramente una grossa influenza si Secci. Gli italiani definiscono “Spazialismo”quest’arte che Fontana insieme a Severelli e Roperto Crippa ha creato nel 1951. Essi volevano estrapolare l’immagine della sua bidimensionalità, volevano tuttavia un qualcosa di diverso dal rilievo, che si avvicina alla massiccia plasticità: una trascendenza dello spazio, uno spazio che si presagisce, ma che non si rivela e non si può trovare a tastoni. In modo diverso lo esprime Karin Thoma, che utilizza l’idea della “Materializzazione del piano”. E’ solo uno spazio mentale quello che lo “Spazialismo” rappresenta. Con Fontana, Secci è un stretto contatto e con Roberto Crippa egli ha collaborato in modo intensivo fino alla sua morte, nel 1972.

 

Quando Secci intitola i suoi quadri “ Per uno spazio possibile”, non siamo forse molto distanti da questa origine.Fontana, il quale anche ha dato a tutti i suoi quadri lo stesso titolo, taglia, apporta delle fessure sulla tela, con un’azione gestuale mette in discussione la ferrea regolarità della bidimensionalità  della tavola, mentre Secci realizza. Secci mette insieme uno spazio formato da molti, innumerevoli pezzi di mosaico a forma di collage, egli dispone a strati delle superfici che formano dei nuovi spazi. Ed egli realizza degli squarci (delle fenditure) che in realtà non sono squarci, poiché nulla è stato strappato. Sono realizzazioni che producono un paradosso ed il paradosso è anche ancora argomentato dal titolo completo del quadro, “Squarci”, pr un possibile spazio”. Quando io strappo qualcosa, non si producono normalmente degli spazi, se  io strappo un foglio di carta, o un pezzo di tessuto, si prende atto che è stato eliminato…… E’ però anche possibile aprire strappando qualcosa, una scatola, un regalo, la carta del regalo viene lacerata, per conoscerne il contenuto. E’ anche possibile abbattere i muri, strappare via degli steccati (delle recinzioni), vi sono sempre nuove possibilità di comunicazione, di incontro. O semplicemente la schiettezza, l’apertura in sé, lo spazio come stato, come esperienza. La vita dell’umanità non è altro che muoversi in spazi sempre nuovi. Al fine di giungere fino a ciò, sono sempre necessari delle transizioni (dei paesaggi): qualcosa deve finire, qualcosa di nuovo inizia. Un nuovo spazio sorge dall’azione. Ed ogni volta è uno squarcio, una rottura, uno stacco (un’interruzione) di un’esperienza nello spazio nel quale ci si è mossi fino ad ora ed alla quale ci si affezionati. Questi squarci possono essere dolorosi. E qualche volta questi squarci debbono essere consapevolmente causati, si deve staccare da una routine che probabilmente è divenuta a noi cara, che si compone di tanti piccoli elementi, che può forse essere tranquilla,forse anche aspra e rude. I piani dei quadri di Secci mi fanno ricordare qualcosa di simile ai piani come spazi di azione del presente, fino al punto in cui si deve tirare una bella riga sopra qualcosa, dove deve cominciare qualcosa di nuovo di cui non si può ancora presagire nulla, di dove ci conduce. “Squarci per un possibile spazio”. No Secci non è uno “Spazialista”, anche se egli ha collaborato con Fontana, anche se le sue radici artistiche sono lì. In questi quadri, che sono così bruschi (scostanti), aspri, (acri) ed anche così importuni (invadenti), quasi, ci dice Secci, semplicemente un piccolo pezzo di verità sulla vita. Questa è naturalmente anche la verità della sua realtà di vita della Sardegna,; chi conosce la Sardegna, sa quanto questa terra sia brusca (scostante), aspra e tuttavia ospitale. E’ infinitamente dolce ed infinitamente spinosa. Secci possiede un grande appezzamento di terreno in montagna non lontano da Cala Gonone. Qui lui ha una casa, aveva due mucche, maiali e piccoli e grandi campi e moltissimi alberi: albicocchi, mandorli; tutto ciò che uno potrebbe solo sognare. Ogni mattino lui si reca sul posto, lavora questi molti ettari di terreno, qui possiede ancora una seconda casa. Come ho già raccontato, al sua casa si trova in prossimità del legno da ardere. Di pomeriggio e alla sera Secci lavora nell’Atelier, è un cambio si scena, difficilmente immaginabile più esteso. In primo luogo ancora il contadino, il giardiniere, profondamente legato alla natura, poi nell’Atelier il lavoro con questi materiali, questo lavoro che richiede tempo, questo lavoro  anche monotono di incollare pezzettino dopo pezzettino, durante il quale rimane il tempo per la mediazione e riflessione. Un possibile spazio? Secci forse è forse un utopista, egli sa quanto il corso della giornata, la vita sono o, per lo meno, possono essere grigi, spigolosi; egli contrappone a ciò uno spazio totalmente in segreto, che ci si deve costruire, in cui in primo luogo bisogna costruire i limiti a questo spazio, per poi poter strappare questi limiti. Vi è tuttavia ancora qualcosa di importante a questo riguardo: il repentino cambio della realtà della vita in quanto Artista e in quanto Re delle montagne  plasma Secci,. Le forti rotture nei suoi quadri segnalano ciò. Chi ogni giorno trascorre molte ore nella solitudine della Natura, di una Natura gigantesca, al di la di tutti i limiti, cosa che noi non possiamo immaginare possibile a Brema, impara a pensare diversamente. Il lavoro nelle aiuole, nei campi, con gli animali, il vedere il cambio di vegetazione, della verdura coltivata, la raccolta dei frutti, la rigogliosità (l’opulenza) dei Frutti dell’Estate e dell’Autunno e pi la scarsezza del terreno bruciato dal calore, e quando arriva il freddo, un ritmo infinito, che con tutte le sue sfumature rimane anche sempre uguale. Guardiamo da questa prospettiva ancora una volta i quadri: Secci distingue rigorosamente e con fermezza quasi incredibile tra il suo mondo della Natura e il suo mondo dell’arte. Ciò viene reso evidente dal fatto che il verde onnipresente della vegetazione sarda manca del tutto nei suoi quadri. Tuttavia, l’immensità della Natura appare (viene alla luce) nelle strutture dei suoi quadri che hanno un effetto quasi ornamentale, sempre nuovamente le stesse procedure di lavorazione racchiuse in una forma astratta. Si può facilmente continuare a pensare ciò al di là dei margini del quadro. La stratificazione: il metodo di lavoro del Collage di piani vitali formati da migliaia dadi briciole, la profondità delle basi che sono sovrapposte, possono forse rappresentare un riflesso di un terreno fertile, di un humus con sempre nuovi, duri, sovrapposti componenti di una natura che sempre nuovamente di dissolve, pronto a fondersi con l’humus sottostante che si è già formato. E poi la vegetazione germogliante: nessun terreno è così duro, da non permettere alla piantina da poco germinata dal seme di farsi strada, essa spacca il terreno ed improvvisamente viene alla luce il nuovo. Il terreno viene aperto per fare in modo che venga alla luce il nuovo. Il terreno viene aperto per fare un modo che vena alla luce la nuova vita. La forza della natura, che si crea sempre nuovo spazio, anche quando l’uomo vuole, con il suo mondo artificiale, sempre e di nuovo ostruire la strada a questa natura. Secci realizza qui un’arte davvero astratta: niente staccato, come normalmente si intende questo concetto, no, tutti i fatti assolutamente naturali, le realtà elementari vengono qui rese in una forma che non ha più nulla di illustrabile, ma che rende chiara in un modo netto la costante esistenziale dell’umanità nella chiarezza di una lingua artistica. Forse potrete cominciare ad intravedere qualcosa con i miei pensieri. Ma per colludere, ancora una cosa  Molti quadri che appaiono all’inizio lumino e splendidi, rapidamente declinano nella mediocrità, altri quadri crescono: essi sono inizialmente scostanti e sembra non donino nulla; tuttavia quando ci si pone davanti all’opera, quando si va a fondo e si scava in profondità, questi quadri diventano sempre radiosi e splendenti. Per questi quadri io penso questo.

Vi ringrazio per la Vostra pazienza

 

E. Rothermel.
presentazione Mostra a Brema 2005

 

 

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